Programma punto 6
LEGALITA’ E SICUREZZA
“Legalità non sono solo i magistrati e le forze di polizia, a cui dobbiamo riconoscenza e rispetto. Legalità dobbiamo essere tutti noi. Legalità è responsabilità, anzi corresponsabilità” (Don Ciotti)
Legalità e sicurezza urbana sono temi di valenza trasversale che non possono essere relegati ad una questione di ordine pubblico, che rimangono prerogativa delle forze dell’ordine e della magistratura. La sicurezza non è una delega. L’amministrazione di un territorio deve mettere in campo attività capaci di migliorare le condizioni di vivibilità, la qualità della vita urbana e la convivenza civile, operando affinché la comunità si senta rassicurata. La legalità è corresponsabilità ed è fatta non solo di diritti ma anche di doveri. La promozione della cultura della legalità, del senso di comunità e della responsabilità sociale sono prerogative dell’azione di prevenzione e contrasto dei fenomeni criminali, che è uno dei compiti fondamentali dell’amministrazione comunale.
In questi anni, pur in assenza di fondi, sono state fatte alcune cose importanti. Il Comune e la Prefettura hanno siglato il “Patto per Bologna sicura” per regolare la reciproca collaborazione ed attivare forme di sinergia per contrastare situazioni di illegalità, attraverso riunioni a cui sono chiamati a partecipare anche rappresentanti della Questura, del Comando Provinciale Carabinieri e del Comando Provinciale della Guardia di Finanza ed i Presidenti di Quartiere. Per contrastare l’aumento di scippi, furti e rapine, soprattutto nei confronti degli anziani, è stata prevista la copertura assicurativa gratuita a tutti gli ultra 65enni residenti a Bologna. E’ stato siglato il Protocollo di intesa tra Comune di Bologna, organizzazioni sindacali, Alleanza delle Cooperative Italiane, Confcommercio, Unindustria, CNA, Confartigianato, ANCE Bologna in materia di appalti di lavori, forniture e servizi con cui si intende affermare con forza i principi fondamentali che contraddistinguono un’economia sana per contrastare il fenomeno mafioso dietro la logica del massimo ribasso. Tuttavia è indubbio che il tema della sicurezza e della legalità rappresentano uno dei punti più critici nel giudizio dei cittadini bolognesi e sui quali la prossima amministrazione è chiamata a fare di più. Non basta dire che il fenomeno d’insicurezza è più percepito che reale. Non si può essere indulgenti con chi viola le regole. Non possono esistere sacche di impunità della città. Pur avendo a disposizione risorse e competenze limitate, il Comune di Bologna ha bisogno di una cooperazione rafforzata con le forze dell’ordine e le istituzioni competenti per adottare misure strutturali e non emergenziali idonee a garantire la libertà e la sicurezza dei propri cittadini.
I dati degli uffici statistici del Comune di Bologna dimostrano che non esiste una “emergenza sicurezza” nella nostra Città. Il totale dei crimini denunciati nel 2014 all’autorità giudiziaria dalle forze di polizia (Polizia di Stato, Arma dei Carabinieri, Corpo della Guardia di Finanza) è di 45.541 reati, dato inferiore al totale del 2013 ed analogo ai livelli del 2004. Il numero degli omicidi (n. 2) è addirittura il più basso di sempre, mentre rimangono significativamente alti i casi di furti, con particolare riferimento ai furti in abitazione (n. 2.042) e negli esercizi commerciali (n. 2.427). Ciò nonostante, il “livello di insicurezza percepito” è tra i più alti degli ultimi anni e supera il 40%. Del resto, basta uscire per le strade ed ascoltare i cittadini per capirlo. La sensazione è confermata da alcune indagini fatte da Demos di Ilvo Diamanti (v. Rapporto Annuale 2014 dell’Osservatorio europeo sulla sicurezza): “L’insicurezza è divenuta un elemento comune e quasi normale della nostra società. Della nostra vita quotidiana. Pervade i sentimenti della popolazione in misura crescente, da alcuni anni. Sotto diversi profili e da diverse prospettive. Ormai non si tratta più di un disagio localizzato e definito. A cui riusciamo a dare un nome. Una provenienza, una connotazione. È, invece, un male oscuro, perché contrassegna i diversi ambiti della nostra esistenza. Si insinua tra le pieghe della società e ne contamina zone fino a ieri immuni. Questa tendenza riflette, in parte, le tensioni che scuotono la realtà. E in parte si autoalimenta. Perché l’insicurezza evoca e, a sua volta, allarga l’insicurezza. Ne fa un segno del nostro tempo”. Le prime domande da porsi sono: – come mai il livello di insicurezza percepito aumenta mentre il numero dei reati commessi nella nostra città è stabile, se non in lieve diminuzione? – cosa si può fare per arginare il ‘male oscuro’ dell’insicurezza?
Per rispondere a queste domande bisogna inquadrare il fenomeno della sicurezza e coglierne alcune cause. All’origine dell’aumento della percezione di insicurezza c’è sicuramente la crisi economica e sociale degli ultimi 8 anni: la paura di perdere (o non trovare) il lavoro, di perdere la casa per il mutuo da pagare, di non poter acquistare i beni essenziali per sé e per i propri cari. Negli ultimi anni, l’insicurezza globale dovuta alla minaccia del terrorismo ed alla migrazione di massa ha modificato la nostra sensazione di paura, cominciando a farle prendere il volto dell’immigrato, dello straniero, del diverso. Più l’origine dei nostri problemi si allontana da noi e dal nostro controllo e più diventa necessario identificare la nostra paura, le nostre incertezze, la nostra insicurezza. Darle un nome ed un cognome. Non è un caso che siano soprattutto le persone anziane che vivono nelle periferie dei centri urbani, quelle più sole e più isolate, che vivono con più intensità la percezione di insicurezza. Per loro la semplice presenza di un vicino che conoscono, la vista della forza di polizia in strada, la conoscenza del rappresentante di quartiere può rappresentare un’àncora di sicurezza.
Da queste brevi premesse discende che il livello di insicurezza percepito si può combattere in tre direzioni. 1) Aumentare la presenza, il numero e la dotazione delle forze dell’ordine e rafforzare la collaborazione e la cooperazione tra il Comune, le forze di polizia e l’autorità giudiziaria. In questo senso, le nuove tecnologie e l’incrocio dei dati a disposizione diventano fondamentali risorse per misure di intelligence di fronte a minacce già note o identificate; 2) Rompere le solitudini e gli isolamenti delle persone più fragili e vulnerabili, incrementando i livelli di collaborazione degli organismi di prossimità con i cittadini (comitati, associazioni, etc.) e gli enti istituzionali, come opportunamente ha fatto il comune di Bologna con il regolamento per la rigenerazione dei beni comuni; 3) C’è un terzo fattore che forse è il più importante di tutti e sul quale si può e si deve lavorare maggiormente. Ricostruire il senso civico, utilizzandolo come mattone per edificare il senso della nostra comunità. Tornare ad insegnare il senso civico nelle scuole e nelle strade è un grande investimento nel capitale umano della nostra futura comunità. Perchè non è solo l’insicurezza che si alimenta e genera insicurezza. Anche la fiducia ha lo stesso effetto espansivo e virale. Genera fiducia, speranza, sicurezza. In sé stessi e negli altri.
Proposta: BOLOGNA CITTA’ (SI)CURA
Tutela dei lavoratori notturni: sistema VERD per taxi ed autobus
L’ultima notizia di cronaca che riporta l’aggressione ad un tassista che svolgeva il suo turno notturno deve destare preoccupazione. E’ il terzo episodio in pochi giorni e segnala un’escalation di violenza che bisogna fermare subito per garantire la sicurezza dei tassisti e la regolarità del servizio notturno di trasporto per i cittadini. Serve una risposta immediata per impedire che il carattere reiterato delle aggressioni ai tassisti possa creare un pericoloso effetto emulativo. Ignorare il problema di sicurezza per chi lavora di notte nelle realtà urbane è il primo modo per non risolverlo.
Strumentalizzare gli episodi di cronaca per rappresentare Bologna, o alcuni suoi quartieri, come se fossimo a ‘Sin City’ non solo non risolve il problema, ma rischia di aumentare proprio l’effetto emulativo.
Parliamo di cose concrete senza retorica.
Per prima cosa bisognerebbe riconoscere la funzione pubblica del servizio di taxi (anche quando è gestito da imprese private o società cooperative) e consentirgli di svolgere in sicurezza il proprio lavoro. Poi, per rendersi conto della reale situazione di (in)sicurezza di chi lavora di notte credo che non farebbe male a politici ed amministratori locali accompagnare qualche volta i tassisti (o gli autisti di autobus notturni) durante lo svolgimento del loro turno di notte. Non solo in campagna elettorale..
Infine, è opportuno firmare un protocollo di intesa tra amministrazione locale, prefettura e società di gestione del servizio di taxi per introdurre un sistema per garantire la sicurezza nei taxi attraverso l’ausilio di strumenti tecnologicamente avanzati. Non parliamo delle solite telecamere di video-sorveglianza. Stiamo parlando di un sistema di VEDR (Video Event Data Record) già sperimentato in altre città italiane ed europee per garantire, da un lato, la sicurezza dei tassisti in caso di aggressione, violenza o rapina, e, dall’altro, la sicurezza stradale dei cittadini attraverso la possibilità di ricostruire le dinamiche in caso di incidenti, nel pieno rispetto della normativa sulla privacy.
Lavoro nelle carceri come passaporto della libertà dei detenuti
Il problema della sicurezza non verrà mai risolto in maniera definitiva se non teniamo a mente il principio della funzione rieducativa della pena e adottiamo gli strumenti adatti per far sì che non rimanga lettera morta. Tutti sappiamo che la realtà nella quale versano i detenuti in Italia è quella di una violazione strutturale dei diritti umani, come dimostrano le tante sentenze di condanna della CEDU nei confronti dell’Italia. A Bologna la situazione è molto preoccupante, anche se meno esplosiva di qualche anno fa. Difatti, il carcere della Dozza, strutturato per circa 400 persone, attualmente ne ospita quasi 800 (dati del Ministero della Giustizia aggiornati al 29.02.2016).
Le soluzioni che vengono solitamente prospettate, in modo piuttosto semplicistico, vanno dall’indulto alla costruzione di nuovi istituti penitenziari.
Sul piano generale, bisognerebbe spingere al livello nazionale per ripensare al sistema carcerario italiano tenendo in debita considerazione, per esempio, la percentuale altissima di detenuti in attesa di giudizio ed operando una revisione della legislazione penale che finisce per riempire le carceri con le fasce sociali più deboli e svantaggiate (tossicodipendenti e immigrati). Su 60.000, circa 15.000 detenuti potrebbero usufruire dei domiciliari o di misure alternative alla pena detentiva. Bisognerebbe quindi intervenire su diversi fronti: ad esempio cambiare legge Fini-Giovanardi sulle droghe e la legge Bossi-Fini che ha introdotto il reato di clandestinità, e poi cambiare meccanismo “sliding doors” e la legge ex Cirielli sulla recidiva. Sul piano più strettamente amministrativo e locale, bisogna intervenire in maniera urgente sulle misure rivolte al reinserimento dei detenuti nel mondo del lavoro. E’ ormai stato ampiamente dimostrato come il lavoro con i detenuti consente l’abbattimento della recidiva nell’ordine del 70%. Il lavoro è il vero passaporto per la libertà dei detenuti.
E’ necessario ripartire proprio da qui, dalla vita delle persone, da progetti e soluzioni articolati per implementare la formazione professionale ed il lavoro nelle carceri.
A Bologna sono in corso già da tempo due esperimenti pilota, frutto della collaborazione tra l’Amministrazione penitenziaria e alcune imprese del territorio.
La prima riguarda tre aziende bolognesi leader nel settore del packaging: Marchesini Group, IMA e GD, che hanno aperto una vera e propria officina all’interno del carcere. Qui ogni giorno si producono componenti meccaniche ad alta tecnologia. Sono 13 i detenuti assunti, inquadrati a tempo indeterminato con il contratto nazionale dei metalmeccanici. L’esperienza “Fare Impresa in Dozza”, inoltre, è stata protagonista del film “Meno male è Lunedì” di Filippo Vendemmiati, interamente realizzato all’interno del carcere.
La seconda è frutto dell’impegno del laboratorio sartoriale Gomito a Gomito, nato dall’idea delle volontarie della cooperativa sociale “Siamo qua”, che permette ad alcune detenute di realizzare prodotti di sartoria il cui ricavato sarà destinato alle stesse. Da tale progetto è nato l’accordo che l’Amministrazione penitenziaria ha siglato con IKEA, che vede 5 detenute lavorare in pianta stabile per IKEA e i prodotti realizzati sono attualmente in vendita presso IKEA di Casalecchio.
- università alla dozza
- carcere minorile
- inserimento detenuti appalti Comune
- % a Bologna
- detenute madri
- piano sicurezza Bologna P.
E’ proprio da questi esempi che è opportuno partire per ripensare il rapporto carcere/città.
Formazione alla legalità: corsi di educazione alla legalità nelle biblioteche (v. supra)