Car@ Europ@ – Londra, 16 Dicembre 2011
Londra, 16 Dicembre 2011
Car@ Europ@,
i rintocchi del Big Ben segnalano puntualmente che sono le 9:00.
Se non fosse per la coda che già si è formata davanti ai magazzini Harrods e per le luci natalizie di Oxford Street sembrerebbe quasi che nulla è cambiato. E invece qualcosa è cambiato.. Con Laura quest’anno abbiamo deciso di non farci regali: forse è anche per questo che posso ‘regalarmi’ un’ora di tempo per leggere i giornali seduto sulla panchina di Hyde Park. Mi si siede accanto un signore di una certa età, folti capelli bianchi e bavero alzato del suo cappotto verde. Gli faccio spazio sulla panchina mentre il mio sguardo rimane incollato sulle colonne di un articolo dell’Economist che parla di Te.
‘Sir, l’Inghilterra è sempre stata fiera di essere un’isola. Forse oggi è più isola di quanto non lo sia mai stata; ma questa volta non c’è molto di cui essere fieri..’
Si vede che ha voglia di parlare ed io lo assecondo in maniera distratta forse perché, in fondo, ho voglia di ascoltare.
‘Si illudono che senza il nostro freno, il treno europeo ricominci a correre più veloce. Sa cosa le dico? Se viene meno l’Inghilterra, verrà meno il grande alibi dell’europeismo di maniera; quello per cui ogni volta dicono che avrebbero potuto fare di più se non ci fosse stato di mezzo la resistenza degli inglesi’.
Dentro di me ho sempre nutrito profonda ammirazione per il modo di negoziare degli inglese: sempre pronti a dire ‘no’ in nome degli interessi della Corona, prima ancora di avere saputo la domanda, ma sempre puntuali ad assolvere gli impegni presi con un senso dell’onore che mi riporta indietro nella memoria mia infanzia. Praticamente il contrario di come facciamo di solito noi italiani. Però non posso fare a meno di ricordargli che con la semplice minaccia del potere di veto l’Inghilterra ha bloccato tante volte la Tua crescita..
‘Sir, lasci perdere. La verità è che avevano bisogno di un Nemico. E sono riusciti a trovarlo perché Cameron è stato così ingenuo da farsi mettere all’angolo. Ah, non mi ha mai dato fiducia quel ragazzo.. Non saprebbe vincere ad un tavolo di poker neanche avendo un full servito di mano.’
Mi incuriosisce la sua dimestichezza con l’attualità: provo a stuzzicarlo sulla situazione politica interna, chiedendogli se questo potrà determinare una spaccatura tra liberali e conservatori o se vede la possibilità di un referendum popolare sull’ipotesi di recesso dall’UE.
‘Sir, il problema non è Westminster. Non è più come ai nostri tempi: oggi la politica è lenta e spuntata nei confronti della finanza. Mi ascolti: se prosegue lungo questa strada arriva dritto al cuore della City. Nessuno riesce ad imporre le regole del gioco al tavolo del croupier. Si ricordi che il banco vince sempre. Ma si vede che lei non è un giocatore..’
Seguo la sua metafora e gli chiedo se pensa allora che il nuovo accordo sia un bluff.
‘Sir, neanch’io sono mai stato un grande giocatore, ma so riconoscere un bluff. Il nuovo accordo serve a prendere tempo nei confronti dei mercati e dell’opinione pubblica. Bisognava far vedere al mondo che sapevamo ancora prendere decisioni. Ma non è con i meccanismi che si salverà l’Euro(pa). Non è con una modifica tecnica che la nave salperà verso il suo porto sicuro’.
Anch’io condivido la superfluità del sogno che i ‘meccanismi’ possano prevalere sulla volontà dei Tuoi cittadini. Mentre lui continua a parlare io penso a tutti i salti mortali che noi giuristi saremo costretti a fare per ricucire lo strappo che Ti hanno fatto, riportandoTi all’interno di una cornice istituzionale comune. Penso a come sarebbe stato possibile anche prima controllare le procedure di disavanzo pubblico eccessivo, se solo il duo Merkozy non si fosse opposto quando la Commissione aveva aperto una procedura nei loro confronti oltre che sulla Grecia. Penso a quanto sarebbe stato utile in questi anni avere una Commissione forte ed indipendente se solo i governi nazionali non avessero voluto rieleggerne il Presidente, incatenandolo agli interessi nazionali ed accettandone la colpevole ignavia. Penso alla miopia degli Stati membri che ora banchettano al tavolo dei vincitori mentre annunciano sanzioni semiautomatiche per i disavanzi pubblici eccessivi, nuovi poteri alla Commissione ed alla BCE, nuova armonizzazione delle politiche economiche e fiscali.
‘Sir, li lasci brindare. Era un risultato necessario. Ma non si illudano che sia sufficiente..’
Mi rendo conto allora di avere pensato ad alta voce e di aver inavvertitamente richiuso i giornali all’estremità della panchina. Riprendo allora con vigore e coraggio il mio ragionamento, affermando che la sfida che abbiamo difronte non è solo una questione finanziaria. E’ una crisi di modello di sviluppo economico e sociale. E non è una crisi globale, ma una crisi occidentale. Forse è la prima crisi post-democratica dell’età contemporanea. Lui vede che mi scaldo e comincia a guardarmi con aria bonaria.
‘Sir, quando nel 1973 entrammo in Europa volevamo un mercato comune e più concorrenza. Quella era la rotta e la nostra direzione comune. Adesso che la bussola è impazzita i marinai non escono con le loro navi quando il mare è in burrasca’.
Gli ricordo che questa volta non si salveranno neanche se rimarranno chiusi nel porto della loro sovranità nazionale.
‘Sir, lei ha ragione. Ma servirebbe che qualcuno tornasse ad insegnare loro la nostalgia per il mare vasto ed infinito…’
E così dicendo si alza, stringendosi nel bavero del suo cappotto verde, inghiottito dalla nebbia. Ripenso a quell’incontro. A quel volto dai tratti così familiari. Mi sembra quasi di poter ricordare il suo nome. Mi chiedo se sia stato tutto vero. Forse è stato un sogno. O forse no.
Tuo cittadino europeo
30 Maggio 2012